Intervista a Leonidas Michelis, autore del romanzo “La distanza dei giorni”.
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09/03/2023 | Bookpress
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Leonidas Michelis è nato a Jànina, in Epiro, nella Grecia settentrionale e attualmente vive a Milano. Pubblica i romanzi “Los claveles del aire” (2007), “L'agave di smeraldo” (2009), “Il ragazzo di Jànina” (2011 - tradotto in greco nel 2013), “Al passo delle cicogne bianche” (2015), “Incontri sospesi” (2018) e “La distanza dei giorni” (2023). Tra i suoi racconti si ricordano “L'ombra imperfetta” (2013) e “L'amore diseguale” (2020).
«Colpisce nell'opera l'attenta caratterizzazione del protagonista Zissis, un uomo intenso e sfaccettato, che accoglie una sfida che un po' gli fa paura per omaggiare la memoria del suo amico Cristino. Vuole parlarci del suo protagonista, raccontandoci qualche particolare sulla sua gestazione o su ciò che l'ha influenzata mentre delineava la sua figura?»
C'era stata una svolta mentre il manoscritto procedeva con fatica. Mi ricordai che in greco per dire “tempo” si usano due parole, Kronos e Kairòs. Mentre la prima si riferisce a un significato di tempo legato alla logica e sequenzialità, la seconda indica "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade, come se si trattasse di un tempo di Grazia. Il tempo dell'immaginazione, non è il tempo Kronos, unidirezionale e tirano. Il tempo come quello del narratore è il tempo del "giusto momento", un tempo simile a quello di: quando potare l'albero; quando considerare conclusa la stagionatura; curvare il legno; stendere la vernice su una tela, una prima, una seconda, una terza volta. Kronos indica il tempo nelle sue dimensioni di passato, presente e futuro, lo scorrere delle ore, e Kairòs indica il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio.
I giorni vissuti dai miei personaggi non erano astronomicamente uguali con il resto dei giorni dell'anno e di quelli che sarebbero venuti dopo, cosi come la distanza fra i giorni non era ne sarebbe stata uguale: nasceva così il titolo del romanzo e coglieva questo senso del tempo oltre l'architettura dell'intera storia, l'esergo, la dedica e la stessa quarta di copertina. Zissis più che il protagonista avrebbe dovuto essere il narratore. Poi, strada facendo è diventato di questa storia l'uno e l'altro. Ed è stato un avvicendamento senza “conflitti di interesse”. Queste due “figure” in una e la latente tensione perché l'una non prevaricasse sull'altra è il tratto principale del personaggio di Zissis, reso forse ancora più credibile dalla storia scritta in terza persona.
«Il suo romanzo è impreziosito da citazioni a miti e leggende, soprattutto provenienti dalla sua terra d'origine, la Grecia. È Zissis a narrare a Cristino delle affascinanti storie mentre affrontano il mare in barca a vela, e ciò fortifica ancora di più la loro amicizia. Ammetto che queste digressioni, interessanti e mai inopportune, sono una delle parti che più ho preferito nella sua opera. Quali sono i motivi per cui ha deciso di inserirle all'interno della vicenda? Non ha avuto timore che potessero distrarre il lettore dallo svolgimento della trama, o appesantire la narrazione?»
Sono nato e cresciuto in un luogo distante di solo qualche chilometro da un accadimento remoto, quello di quando due colombe nere vennero volando da Tebe in Egitto, una in Libia e l'altra a Dodone. Quest'ultima si sistemò su una quercia e da lassù, parlando il linguaggio umano, dichiarò che il luogo di divinazione per Zeus dovesse essere lì; il popolo di Dodone capì che il messaggio era di natura divina, e vi stabilì quindi l'Oracolo.
In quei tempi non era ancora avvenuta la separazione della stirpe dei mortali da quelle degli dèi e quell'evento e gli accadimenti con esso connessi e di seguito avvenuti, i miti e le leggende generate, moltiplicati e poi intrecciati gli uni con le altre pareva che spiegassero le cose del mondo. Solo dopo, molto tempo dopo, si narra, che uomini e dèi furono divisi per l'eternità e da allora una forte nostalgia del corpo perseguita gli dèi mentre la perdita di un mondo connesso al divino rattrista gli uomini. A Dodone era nato mio padre e io passavo le vacanze estive da mia nonna a qualche centinaio di metri da quella quercia che nei secoli si rinnovava come pianta sempre allo stesso posto. Così il mito, la narrazione delle gesta compiute da dèi, semidèi, eroi e mostri prima, assieme alla nostalgia degli dèi e la tristezza degli uomini dopo quella divisione, fanno parte dell'inconscio collettivo di quella terra dalla quale io provengo. E come avviene nelle fucine quella poderosa eredità mi ha forgiato, si è intrecciata, seppure con parsimonia, con il modo mio di narrare: un tocco di leggerezza che ha intenerito e scaldato il cuore di quel o di quell'altro personaggio, segnando in questo modo il suo non dire direttamente, il suo agire e la storia che ne faceva parte.
«Nell'opera si sottolinea a più riprese l'importanza della memoria; Zissis, ad esempio, da giovane aveva elencato le date e i luoghi fondamentali della sua vita - “Finì per diventare un diario intimo: ricordare, re-cordari, 'passare ancora dal cuore', luogo dove alloggia la memoria”. Quali sono gli altri temi portanti del suo romanzo?»
Zissis aveva elencato le date e i luoghi della sola sua vita da adolescente. Questo era servito per tenere salda le origini della sua anima, “perché la memoria ci eleva, dà dignità umana”. Per il resto, penso che in fondo la narrazione sia un modo per attivare vicende passate, in parte accadute ma rielaborate dall'immaginazione, e vicende attuali che ugualmente rielaborano esperienze reali ma il cui confine deve restare inevitabilmente indeterminato. Di norma chi scrive, dicono che ha nella testa “un intero opificio di trasformazione dei sogni e degli sguardi degli altri”. Appena li mette a fuoco con i suoi occhi, li razzia per poi trasfigurarli e liberarli sulla carta. Li usa come carburante per alimentare il suo dire.
«Lei è nato in Epiro, nella Grecia settentrionale, ma da molti anni si è stabilito in Italia. Cosa sopravvive oggi, dentro di lei, delle sue origini, e quanto esse hanno inciso sulla sua visione della vita e soprattutto sulle sue opere?»
Le rispondo “rubando” un pensiero del “narratore” Zissis:
“Arrivato in quest'altro paese quasi ragazzo, vi studia, vi lavora, costruisce una vita. Le proprie origini erano impresse nel suo inconscio, quanto respirato sin da quando era venuto al mondo faceva parte dei suoi geni: dall'eredità dai suoi nonni, custodita gelosamente, ai rumori delle strade dove aveva giocato ed era cresciuto, fino ai suoni delle voci che aveva sentito. Così come, prima gli studi, e poi le esperienze di lavoro e di vita successive, si erano incisi nel suo patrimonio genetico e sulla sua personalità: rimaneva difficile per lui, inconcepibile per i più, vedere in questo secondo passaporto, l'italiano e soprattutto nella scelta di mantenere la doppia cittadinanza un suo atteggiamento opportunistico, più o meno ambiguo. Lo aveva fortemente voluto e alla fine era riuscito a trovare il modo di non rinunciare all'altra, la sua prima cittadinanza. Lo status di cittadino riconosciutogli anche formalmente da questo secondo paese, quello di adozione, sanciva un dato di fatto avvenuto in un lungo arco di tempo. Un riuscito innesto. E questa mischianza, parola da lui coniata tempo prima, era il grande libro della sua esistenza”.
«Cosa l'ha spinta verso il mestiere di scrittore e come sono stati i suoi inizi?»
Sono ingegnere e la circostanza che qualcuno si è accorto delle storie che scrivevo è stata un caso più o meno come è avvenuto per quasi tutte le cose importanti che ho realizzato nella mia vita. Fato o caso, come dir si voglia, è tema di dibattito inesauribile fin dalla notte dei tempi. Ma per chi, come il sottoscritto, che ha studiato e appreso alcuni principi di Fisica è difficile evitare di coniugare il concetto di probabilità con quello di casualità. Anche se il fato, il destino predeterminato e inflessibile, emerge qualche volta, con prepotenza dall'inconscio, nel quale pescano le radici della mia cultura.Tornando alla domanda, qualche anno fa avevo ricevuto una telefonata da un piccolo allora editore romano. Aveva letto un mio racconto che qualcuno all'epoca vicino a me, aveva inviato a mia insaputa a un concorso letterario, intitolato a Elsa Morante. Mi parlò di una sua collana che voleva essere dedicata a quelli che lui chiamava i nuovi italiani, quelli cioè che avevano qualcosa da dire non nella loro lingua ma direttamente in italiano. Perché così si poteva, diceva, percepire sensibilità e mondi diversi senza il filtro della traduzione. La chiamava la neo-letteratura, la scrittura di donne e uomini stranieri che risiedono in Italia arrivati attraverso la migrazione del lavoro, l'asilo politico, l'esilio o lo studio in Italia e hanno fatto propria la lingua. Neo-letteratura, perché alla fine il lettore avrebbe trovato linfa nella propria lingua e suoni nuovi, che l'avrebbe in qualche modo rinnovata. Perché la migrazione letteraria, diceva, è uno dei punti di forza dell'integrazione di nuove genti. Quel progetto finì per incantarmi, ci credetti e decisi di pubblicare il primo romanzo che poi divenne una trilogia, la trilogia di un personaggio dal nome di Zafiris, con quel editore.
“Scrivere in una lingua straniera”, diceva un certo Tahar Lamri, scrittore algerino naturalizzato italiano “è un atto pagano, perché se la lingua madre protegge, l'altra dissacra e libera”.
«Come gestisce la creazione di una sua opera, dal momento in cui concepisce l'idea fino alla sua completa realizzazione? Come organizza il lavoro, e da cosa trae ispirazione?»
Da un coro di voci ancora non rivelato che nel tempo acquisisce timbro e subito dopo viso, perfino il viso di alcuni che conoscevo poco, che non ricordo di avere mai scambiato con loro una parola ma che portavano con sé qualcosa che avevano detto e che mi era rimasto in memoria. Do molta importanza al titolo della storia che andrò a scrivere, poi al nome dei personaggi che in qualche modo costruisce il carattere, il personaggio. Non ho uno schema, un'architettura definita di dettaglio della storia e questo in antitesi con la mia cultura di ingegnere. Qualche volta penso e di questo ho quasi la certezza che se un tale giorno invece di mettermi a scrivere al mattino mi fossi messo a farlo di pomeriggio o il giorno dopo, la storia avrebbe preso un'altra strada; così anche i personaggi avrebbero detto dell'altro o agito diversamente. A volte, per fortuna capita di rado, un personaggio prende il sopravvento sugli altri, pervade la scena e tenta di orientare gli eventi. Allora il momento di chi scrive diventa difficile, eguaglia solo quelli altri momenti, quelli costretti a stare per ore davanti a un foglio bianco senza trovare la parola o l'attacco giusto per continuare a scrivere.
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https://edizionimilella.it/product/la-distanza-dei-giorni/
«Colpisce nell'opera l'attenta caratterizzazione del protagonista Zissis, un uomo intenso e sfaccettato, che accoglie una sfida che un po' gli fa paura per omaggiare la memoria del suo amico Cristino. Vuole parlarci del suo protagonista, raccontandoci qualche particolare sulla sua gestazione o su ciò che l'ha influenzata mentre delineava la sua figura?»
C'era stata una svolta mentre il manoscritto procedeva con fatica. Mi ricordai che in greco per dire “tempo” si usano due parole, Kronos e Kairòs. Mentre la prima si riferisce a un significato di tempo legato alla logica e sequenzialità, la seconda indica "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade, come se si trattasse di un tempo di Grazia. Il tempo dell'immaginazione, non è il tempo Kronos, unidirezionale e tirano. Il tempo come quello del narratore è il tempo del "giusto momento", un tempo simile a quello di: quando potare l'albero; quando considerare conclusa la stagionatura; curvare il legno; stendere la vernice su una tela, una prima, una seconda, una terza volta. Kronos indica il tempo nelle sue dimensioni di passato, presente e futuro, lo scorrere delle ore, e Kairòs indica il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio.
I giorni vissuti dai miei personaggi non erano astronomicamente uguali con il resto dei giorni dell'anno e di quelli che sarebbero venuti dopo, cosi come la distanza fra i giorni non era ne sarebbe stata uguale: nasceva così il titolo del romanzo e coglieva questo senso del tempo oltre l'architettura dell'intera storia, l'esergo, la dedica e la stessa quarta di copertina. Zissis più che il protagonista avrebbe dovuto essere il narratore. Poi, strada facendo è diventato di questa storia l'uno e l'altro. Ed è stato un avvicendamento senza “conflitti di interesse”. Queste due “figure” in una e la latente tensione perché l'una non prevaricasse sull'altra è il tratto principale del personaggio di Zissis, reso forse ancora più credibile dalla storia scritta in terza persona.
«Il suo romanzo è impreziosito da citazioni a miti e leggende, soprattutto provenienti dalla sua terra d'origine, la Grecia. È Zissis a narrare a Cristino delle affascinanti storie mentre affrontano il mare in barca a vela, e ciò fortifica ancora di più la loro amicizia. Ammetto che queste digressioni, interessanti e mai inopportune, sono una delle parti che più ho preferito nella sua opera. Quali sono i motivi per cui ha deciso di inserirle all'interno della vicenda? Non ha avuto timore che potessero distrarre il lettore dallo svolgimento della trama, o appesantire la narrazione?»
Sono nato e cresciuto in un luogo distante di solo qualche chilometro da un accadimento remoto, quello di quando due colombe nere vennero volando da Tebe in Egitto, una in Libia e l'altra a Dodone. Quest'ultima si sistemò su una quercia e da lassù, parlando il linguaggio umano, dichiarò che il luogo di divinazione per Zeus dovesse essere lì; il popolo di Dodone capì che il messaggio era di natura divina, e vi stabilì quindi l'Oracolo.
In quei tempi non era ancora avvenuta la separazione della stirpe dei mortali da quelle degli dèi e quell'evento e gli accadimenti con esso connessi e di seguito avvenuti, i miti e le leggende generate, moltiplicati e poi intrecciati gli uni con le altre pareva che spiegassero le cose del mondo. Solo dopo, molto tempo dopo, si narra, che uomini e dèi furono divisi per l'eternità e da allora una forte nostalgia del corpo perseguita gli dèi mentre la perdita di un mondo connesso al divino rattrista gli uomini. A Dodone era nato mio padre e io passavo le vacanze estive da mia nonna a qualche centinaio di metri da quella quercia che nei secoli si rinnovava come pianta sempre allo stesso posto. Così il mito, la narrazione delle gesta compiute da dèi, semidèi, eroi e mostri prima, assieme alla nostalgia degli dèi e la tristezza degli uomini dopo quella divisione, fanno parte dell'inconscio collettivo di quella terra dalla quale io provengo. E come avviene nelle fucine quella poderosa eredità mi ha forgiato, si è intrecciata, seppure con parsimonia, con il modo mio di narrare: un tocco di leggerezza che ha intenerito e scaldato il cuore di quel o di quell'altro personaggio, segnando in questo modo il suo non dire direttamente, il suo agire e la storia che ne faceva parte.
«Nell'opera si sottolinea a più riprese l'importanza della memoria; Zissis, ad esempio, da giovane aveva elencato le date e i luoghi fondamentali della sua vita - “Finì per diventare un diario intimo: ricordare, re-cordari, 'passare ancora dal cuore', luogo dove alloggia la memoria”. Quali sono gli altri temi portanti del suo romanzo?»
Zissis aveva elencato le date e i luoghi della sola sua vita da adolescente. Questo era servito per tenere salda le origini della sua anima, “perché la memoria ci eleva, dà dignità umana”. Per il resto, penso che in fondo la narrazione sia un modo per attivare vicende passate, in parte accadute ma rielaborate dall'immaginazione, e vicende attuali che ugualmente rielaborano esperienze reali ma il cui confine deve restare inevitabilmente indeterminato. Di norma chi scrive, dicono che ha nella testa “un intero opificio di trasformazione dei sogni e degli sguardi degli altri”. Appena li mette a fuoco con i suoi occhi, li razzia per poi trasfigurarli e liberarli sulla carta. Li usa come carburante per alimentare il suo dire.
«Lei è nato in Epiro, nella Grecia settentrionale, ma da molti anni si è stabilito in Italia. Cosa sopravvive oggi, dentro di lei, delle sue origini, e quanto esse hanno inciso sulla sua visione della vita e soprattutto sulle sue opere?»
Le rispondo “rubando” un pensiero del “narratore” Zissis:
“Arrivato in quest'altro paese quasi ragazzo, vi studia, vi lavora, costruisce una vita. Le proprie origini erano impresse nel suo inconscio, quanto respirato sin da quando era venuto al mondo faceva parte dei suoi geni: dall'eredità dai suoi nonni, custodita gelosamente, ai rumori delle strade dove aveva giocato ed era cresciuto, fino ai suoni delle voci che aveva sentito. Così come, prima gli studi, e poi le esperienze di lavoro e di vita successive, si erano incisi nel suo patrimonio genetico e sulla sua personalità: rimaneva difficile per lui, inconcepibile per i più, vedere in questo secondo passaporto, l'italiano e soprattutto nella scelta di mantenere la doppia cittadinanza un suo atteggiamento opportunistico, più o meno ambiguo. Lo aveva fortemente voluto e alla fine era riuscito a trovare il modo di non rinunciare all'altra, la sua prima cittadinanza. Lo status di cittadino riconosciutogli anche formalmente da questo secondo paese, quello di adozione, sanciva un dato di fatto avvenuto in un lungo arco di tempo. Un riuscito innesto. E questa mischianza, parola da lui coniata tempo prima, era il grande libro della sua esistenza”.
«Cosa l'ha spinta verso il mestiere di scrittore e come sono stati i suoi inizi?»
Sono ingegnere e la circostanza che qualcuno si è accorto delle storie che scrivevo è stata un caso più o meno come è avvenuto per quasi tutte le cose importanti che ho realizzato nella mia vita. Fato o caso, come dir si voglia, è tema di dibattito inesauribile fin dalla notte dei tempi. Ma per chi, come il sottoscritto, che ha studiato e appreso alcuni principi di Fisica è difficile evitare di coniugare il concetto di probabilità con quello di casualità. Anche se il fato, il destino predeterminato e inflessibile, emerge qualche volta, con prepotenza dall'inconscio, nel quale pescano le radici della mia cultura.Tornando alla domanda, qualche anno fa avevo ricevuto una telefonata da un piccolo allora editore romano. Aveva letto un mio racconto che qualcuno all'epoca vicino a me, aveva inviato a mia insaputa a un concorso letterario, intitolato a Elsa Morante. Mi parlò di una sua collana che voleva essere dedicata a quelli che lui chiamava i nuovi italiani, quelli cioè che avevano qualcosa da dire non nella loro lingua ma direttamente in italiano. Perché così si poteva, diceva, percepire sensibilità e mondi diversi senza il filtro della traduzione. La chiamava la neo-letteratura, la scrittura di donne e uomini stranieri che risiedono in Italia arrivati attraverso la migrazione del lavoro, l'asilo politico, l'esilio o lo studio in Italia e hanno fatto propria la lingua. Neo-letteratura, perché alla fine il lettore avrebbe trovato linfa nella propria lingua e suoni nuovi, che l'avrebbe in qualche modo rinnovata. Perché la migrazione letteraria, diceva, è uno dei punti di forza dell'integrazione di nuove genti. Quel progetto finì per incantarmi, ci credetti e decisi di pubblicare il primo romanzo che poi divenne una trilogia, la trilogia di un personaggio dal nome di Zafiris, con quel editore.
“Scrivere in una lingua straniera”, diceva un certo Tahar Lamri, scrittore algerino naturalizzato italiano “è un atto pagano, perché se la lingua madre protegge, l'altra dissacra e libera”.
«Come gestisce la creazione di una sua opera, dal momento in cui concepisce l'idea fino alla sua completa realizzazione? Come organizza il lavoro, e da cosa trae ispirazione?»
Da un coro di voci ancora non rivelato che nel tempo acquisisce timbro e subito dopo viso, perfino il viso di alcuni che conoscevo poco, che non ricordo di avere mai scambiato con loro una parola ma che portavano con sé qualcosa che avevano detto e che mi era rimasto in memoria. Do molta importanza al titolo della storia che andrò a scrivere, poi al nome dei personaggi che in qualche modo costruisce il carattere, il personaggio. Non ho uno schema, un'architettura definita di dettaglio della storia e questo in antitesi con la mia cultura di ingegnere. Qualche volta penso e di questo ho quasi la certezza che se un tale giorno invece di mettermi a scrivere al mattino mi fossi messo a farlo di pomeriggio o il giorno dopo, la storia avrebbe preso un'altra strada; così anche i personaggi avrebbero detto dell'altro o agito diversamente. A volte, per fortuna capita di rado, un personaggio prende il sopravvento sugli altri, pervade la scena e tenta di orientare gli eventi. Allora il momento di chi scrive diventa difficile, eguaglia solo quelli altri momenti, quelli costretti a stare per ore davanti a un foglio bianco senza trovare la parola o l'attacco giusto per continuare a scrivere.
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